Mario Gioia SJ

Nasce a Palermo il 30 settembre 1929 e muore a Napoli il 15 febbraio 2005.
Il primo ottobre 1945, a 16 anni, entra nel noviziato della Compagnia di Gesù. Percorre le varie tappe di formazione: noviziato e liceo classico a Bagheria, triennio di filosofia nell’Istituto Ignatianum di Messina, magistero a Palermo, teologia di nuovo all’Ignatianum dove riceve l’ordinazione presbiterale il 9 luglio 1961.
Trascorre il terz’anno negli Stati Uniti ed emette gli ultimi voti il 2 febbraio 1964. Consegue il dottorato in Teologia spirituale a Roma nella Pontificia Università Gregoriana.
Nel corso degli anni è impegnato in una serie di incarichi che attestano la fiducia riposta in lui.
Padre spirituale degli studenti gesuiti di filosofia a Gallarate (Milano).
Maestro dei novizi (1971-1981) nel noviziato unificato delle cinque province religiose dell’epoca (torinese, veneto-milanese, romana, napoletana, siciliana), diventate poi unica Provincia d’Italia nel 1978.
Rettore del Collegio universitario d’Abruzzo a L’Aquila, dove rivela spiccate attitudini anche nella cura dei beni, gestendo con precisione e secondo lo stile della Compagnia l’amministrazione di immobili lasciati da generosi benefattori, i cui redditi sostenevano il collegio de L’Aquila e altre opere apostoliche.
Padre spirituale degli studenti gesuiti di teologia nella Sezione S. Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale per circa 20 anni, durante i quali si dedicherà all’insegnamento della Teologia spirituale, allo studio, alla pubblicazione di numerosi scritti in riviste e dizionari di spiritualità.
Quando si tratterà di promuoverlo come professore “ordinario” della Facoltà, viene proposto con la seguente motivazione: “La Commissione apprezza che il prof. Gioia persegua con continuità gli studi sulla spiritualità ignaziana e sulla Compagnia di Gesù, con un taglio storico-teologico-spirituale”. L’apprezzamento e incoraggiamento della Commissione riflette bene il settore specifico nel quale padre Mario spenderà le migliori energie e lascerà una preziosa eredità.
Buone premesse in questa direzione fermentavano già nella sua tesi di dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, avente come titolo: “La grazia vocazionale in San Bernardino Realino. Un contributo allo studio del problema delle correlazioni tra grazia e natura” [1]. Il taglio di questo “contributo” – rapporto tra grazia e natura – può essere considerato un filo rosso che esprime l’ispirazione di fondo della vita di padre Gioia, come maestro dei novizi, scrittore, docente e formatore nella Compagnia in Italia dopo il Concilio Vaticano II.
L’incarico più importante affidatogli è certamente quello di maestro dei novizi, durato 10 anni. I primi cinque anni il noviziato risiede in un edificio a Ciampino, “una casa in mezzo alla gente”, senza alcuno spazio recintato intorno, come segno di “inserimento e apertura” in un contesto popolare e periferico. I secondi cinque anni a Frascati nella Villa Campitelli.
Chi ha lavorato con lui testimonia la maturità di giudizio, la signorilità, la prudenza, la pazienza, la mitezza e il dominio di sé (cf. i frutti dello Spirito in Gal 5,22) con cui padre Gioia ha vissuto i tempi duri e fecondi del dopo Concilio. Ha potuto esprimere al meglio le sue qualità di formatore: nel dialogo personale, negli incontri sulla spiritualità della Compagnia, in particolare nel “mese di esercizi”, condotti con la sapienza evangelica di chi ha assimilato le “correlazioni tra grazia e natura” e continua a seminare rispettando i tempi dell’uomo e disponendo le persone ad accogliere il tempo della grazia.
Intanto cresce la sua familiarità con le caratteristiche fondamentali del nostro Istituto e in varie occasioni diffonde questi tesori di famiglia. La storia della nascita e dei primi passi della Compagnia viene raccontata da lui in un libretto di 109 pagine – “Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù”, nel quale troviamo le deliberazioni parigine (1534), le deliberazioni venete (1537), le deliberazioni romane (1539) e le Formule dell’Istituto (1539-1540). Si tratta di uno scritto breve e denso, corredato da una ricca documentazione, inserita nel testo e nelle note, riguardante questo tempo fondazionale.
Un’occasione straordinaria gli viene offerta per la pubblicazione degli “Scritti di S. Ignazio” presso la UTET (Unione Tipografico-Editrice Torinese). A lui la parola: «Quando nel maggio del 1973 l’editrice UTET, per mezzo di mons. Pietro Rossano, mi manifestò l’intenzione di includere nella sua “Collezione dei Classici delle Religioni” una scelta di testi ignaziani, proposi che si pubblicassero tutti i suoi scritti. Attraverso l’intelligente mediazione di Ignacio Iparraguirre SJ (morto il 6.10.1973), illustre cultore di studi ignaziani, la mia proposta venne accettata. La reputavo e tuttora la reputo sensata e valida. Ignazio di Loyola, se si eccettua la mole imponente del suo epistolario, non ha scritto molto. Non ha nemmeno scritto bene, se all’avverbio si dà il contenuto dell’espressione corrente del bello scrivere. Ma la sua prosa scarna in quantità e qualitativamente rude ha avuto un mordente straordinario per intere generazioni di cristiani. E lo ha ancora oggi» [2].
Un’équipe scelta di gesuiti collabora a questo volume di 1119 pagine. Padre Gioia coordina tutto il lavoro e cura direttamente la sezione riguardante “Le Formule dell’Istituto della Compagnia di Gesù”. Queste Formule sono tre: i “5 capitula” presentati dal card. Contarini a Paolo III e da lui approvati oralmente il 3 settembre 1539 a Tivoli; la bolla “Regimini militantis ecclesiae”, con la quale Paolo III approva la Compagnia il 27 settembre 1540; la bolla “Exposcit debitum”, seconda approvazione da parte di Giulio III il 21 luglio 1550.
La presentazione sinottica di queste tre formule, riportate in parallelo ogni due pagine pari-dispari e visibili con un unico colpo d’occhio, è un lavoro di analisi comparata e di pazienza certosina, che aiuta a scoprire e gustare i passi graduali di elaborazione e definizione dell’Istituto della Compagnia nel corso del periodo fondazionale [3].
Durante un convegno di studio per gesuiti sugli Esercizi spirituali nel 1987, padre Gioia presenta una relazione sulla storia degli Esercizi negli inizi e nei primi decenni della Compagnia. Riferisce tra l’altro una bella testimonianza su Ignazio attribuita a Filippo Neri (suo grande amico, benché tanto diversi): «Ignazio ha insegnato la teologia del cuore” [4].
La teologia del cuore non è quella speculativa sulle verità della nostra fede, ma quella di un uomo istruito da Dio che dalla propria esperienza ha imparato come il Signore lavora nel cuore dell’uomo, come si fa a distinguere la sua Voce da altre voci che risuonano nel nostro intimo, come si fa a scoprire ciò che è più gradito a Dio e a fare le scelte giuste nella propria vita.
Si tratta di una sapienza spirituale pratica che solo il Signore può comunicare, coinvolgendo affettivamente, purificando e orientando le risorse naturali della persona a servizio del Regno.
Padre Gioia ha imparato Questo stile da Ignazio e come maestro e formatore l’ha vissuto nelle relazioni personali, nella conduzione delle comunità, nei suoi scritti sulla spiritualità ignaziana e sulla storia della Compagnia di Gesù.
Bibliografia
Scritti di S. Ignazio, UTET, Torino 1977.
Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù, Ave, Roma 1991.
[1] “La grazia vocazionale in San Bernardino Realino. Un contributo allo studio del problema delle correlazioni tra grazia e natura”. Segue pubblicazione in “Excerpta ex dissertatione ad lauream in Facultate Teologica Pontificiae Universitatis Gregorianae”, Roma 1970, pp. XXVIII + 101”.
[2] Dalla prefazione a “Gli scritti di Ignazio di Loyola”, a cura di Mario Gioia, UTET, Torino 1977.
[3] Cf. “Gli scritti di Ignazio di Loyola”, op. cit., pp. 205-243.
[4] Cf. intervento di Mario Gioia SJ in “Appunti di spiritualità” 20 (1988) 17.